La composizione del primo “romanzo” rousseliano, Impressions d’Afrique, vede il procedimento originale attraversare delle fasi evolutive che lo traghettano verso la sua forma definitiva:

Ampliando in seguito il procedimento, cercai nuove parole che si riferissero alla parola billard, sempre per considerarle in un senso diverso da quello che si presentava a prima vista, e ciò mi forniva ogni volta una nuova creazione […]. Cercando una parola da aggiungere alla parola blanc pensai alla colle (colla) che attacca la carta alla base del gesso. E la parola colle presa nel senso (che ha in gergo di collegio) di consegna o di castigo, mi fornì le tre ore di consegna inflitte al blanc (Carmichaël) da Talou.[1]

Questo movimento per associazioni d’idee che scuote la struttura reticolare manifesta solo un’avvenuta insofferenza per il procedimento originale, che grazie a questa crisi viene a ricomporsi immediatamente in forma più asciutta e stilizzata:

Abbandonando quindi il campo della parola billard, continuai seguendo lo stesso metodo. Sceglievo una parola poi la legavo ad un’altra mediante la proposizione à: e queste due parole, prese in un senso diverso dal senso originario, mi fornivano una nuova creazione […]. Debbo dire che questo lavoro preliminare era difficile e mi prendeva già parecchio tempo.[2]

La struttura combinatoria è conservata ed esaltata: palmier à restauration viene a significare contemporaneamente «dolce a forma di ventaglio da ristorante» e «albero da restaurazione». Ma è la funzione di questi prodotti a mutare radicalmente: la prima frase serve solo da principio generativo della seconda, e viene fatta cadere; non c’è così nessun dolce, ma solo una palma nella Piazza dei Trofei consacrata alla restaurazione della dinastia dei Talou. Abbandonata la tensione fra gli omonimi nello spazio originale del primo procedimento, la frase prescelta è ora spogliata persino della sua presenza linguistica nel testo, ma aumenta in proporzione la sua carica generativa del materiale immaginativo; ora la frase s’impossessa della sostanza che prima si limitava ad avviluppare nei suoi confini.

Mentre le due frasi omonime sono nei testi di gioventù quello che c’è di più visibile […] esse ora sono piantate all’interno del testo, che, invece d’esserne limitato, gioca il ruolo d’uno spesso involucro […]. Si direbbe che l’organizzazione orizzontale delle narrazioni-genesi abbia ruotato e che ora si presenti verticalmente, come a testa in giù: quello che si vedeva alla fine del racconto, del linguaggio e del tempo, all’estremità di questo cannocchiale formato, a partire dalla frase iniziale, dall’obbligo di ritrovarla, è quello e solamente quello che possiamo vedere nelle Impressions d’Afrique.[3]

L’organizzazione topologica su assi orizzontali e verticali si dimostra insomma applicabile anche in questo caso per descrivere un fenomeno di occultazione testuale. La frase eponima si trova infatti a scomparire dal testo come in effetto di un colpo di altalena, relegata tanto più profondamente quanto più evidente risulta la centralità della frase di arrivo. Il salto di qualità garantito dal nuovo procedimento nella generazione di spunti narrativi è facilmente misurabile: il primo procedé occupava il racconto interamente, subordinando la sua organizzazione allo sviluppo del materiale che nel contempo produceva; il nuovo procedimento condensa invece in una singola immagine tutta la carica suggestiva di ogni singola operazione, ed il processo di organizzazione della molteplicità di immagini ricavate si libera di ogni automatismo, è spostato temporalmente verso una successiva fase di assemblaggio “empirico”; Roussel teneva ad indicare come principio di azione di questa seconda fase la semplice ricerca d’una «equazione di fatti», precisazione che serviva probabilmente a mascherarne la presunta debolezza, cioè il carattere arbitrario che invece costituisce la sua forza motrice: nella discrezionalità dell’organizzazione delle cellule fornite dal procedé si restituisce in parte la classica funzione autoriale che consente a Roussel di marcare fortemente la narrazione con l’impronta del suo inconfondibile immaginario.

Lo spazio linguistico che il primo procedimento apriva e segnalava con l’evidenziazione dei suoi confini, ora si concentra e si moltiplica nell’interno imperscrutabile dei singoli atomi narrativi. E’, in fin dei conti, il passaggio ad una monadologia del procedimento, dove ogni immagine racchiude in sé l’infinita generabilità delle altre, esprime l’identico spazio linguistico rousseliano da un differente punto di vista, spazio tuttavia inaccessibile perché conchiuso in se stesso, sottratto allo spazio visibile della testualità e privato così del suo naturale piano d’espressione. Questo movimento è perfezionato dal successivo passaggio:

Il procedimento ebbe un’evoluzione e fui spinto a prendere una frase qualsiasi, dalla quale traevo immagini scomponendola, un po’ come se si trattasse di estrarne disegni da rebus.

Faccio un esempio, quello del racconto Le poète et la Moresque, in cui mi sono servito della canzone: «J’ai du bon tabac». Il primo verso: «J’ai du bon tabac dans ma tabatière» [ho del buon tabacco nella mia tabacchiera] mi ha dato: «Jade tube onde aubade en mat (objet mat) a basse tierce» [Giada tromba onda mattinata, oggetto opaco, ha bassa terza]. Si riconosceranno in quest’ultima frase tutti gli elementi dell’inizio del racconto.[4]

E’ questa la forma definitiva del procedimento, che verrà utilizzata per Locus Solus e per i due tentativi teatrali, L’etoile au front e La poussière de soleils. In essa lo spazio di manovra si amplia ulteriormente per Roussel, per la nuova facoltà di scelta incondizionata delle frasi-genesi, e per la evidente flessibilità del criterio di scomposizione omofonica, agevolata dalla malleabilità fonetica della lingua francese.

Si direbbe che Roussel voglia trasferire nella fase produttiva del procedimento quella tonalità inconfondibile finora legata solo alla fase di assemblaggio, discendente dall’aggregazione di oggetti casualmente compresenti; la continuità evolutiva tra il primo e l’ultimo procedimento è rintracciabile proprio in questo slittamento delle dinamiche verso piani sempre più interni, per smottamenti successivi; scompare via via anche la componente tropologica del procedimento, che ancora difendeva i caratteri storici del linguaggio, i rapporti causali tra gli elementi linguistici in gioco. La libertà che Roussel sembra guadagnare sul procedimento si configura sempre più come libertà di utilizzare il fattore incongruo della loro giustapposizione: è un effetto di trompe-l’oeil, di finzione d’uno spazio di rapporto tra i segni, che sostituisce lo spazio originale della concezione rousseliana; ma è anche la ricerca d’una costruzione autonoma del proprio spazio narrativo, un salto all’indietro verso l’epifania degli oggetti linguistici, visto come uno stadio incontaminato da ogni vincolo esterno, in cui le parole si offrono vergini alla costruzione di un nuovo sistema di associazioni, una nuova società linguistica. E’ con quest’ultimo strattone che Roussel trova infine la propria via al mondo della concezione.

Quali sono i mutamenti che quest’approfondimento degli obiettivi rousseliani comporta nella sostanza combinatoria del procedimento? La struttura reticolare si discioglie qui progressivamente, per cedere il posto ad una scomposizione su piani diversi delle due componenti fondamentali della combinatoria: sul primo livello la scomposizione omofonica utilizza le virtù combinatorie regolate dalla codificazione fonetica del linguaggio, condividendo quindi i caratteri rigorosamente tecnici della combinatoria parassita (non mette insieme niente, ma utilizza le forze di combinazione già insite nella costituzione delle parole). Sui livelli successivi si situa invece l’altra accezione della combinatoria, la fusione di molteplici oggetti differenti in una macrostruttura, che non avviene però secondo modi formalmente definiti, ma secondo l’interazione di una supposta «logica di combinazione delle immagini» nel modo più economico con la forza delle ossessioni rousseliane; sodalizio che preme per improntare di sé le due fasi dell’assemblaggio: la prima, che dilata il senso degli atomi linguistici a disposizione fino alla loro fusione in uno spunto narrativo; la seconda, che s’ingegna a combinare tali motivi fra loro in una fabula dalle dinamiche non eccessivamente inverosimili.

Indice
La sintesi
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[1] Come ho scritto alcuni miei libri, op. cit., pp. 266-67.

[2] id., p. 267.

[3] Michel Foucault, Raymond Roussel, op. cit., p. 41.

[4] Come ho scritto alcuni miei libri, op. cit., p. 273.