Le prime battaglie letterarie a cui Queneau lega il suo nome sono quelle combattute per fondare il «neofrancese», cioè per colmare la distanza che separa il francese scritto (con la sua rigida codificazione ortografica e sintattica, la sua immobilità marmorea, la sua poca duttilità e agilità) dal francese parlato (con la sua inventiva e mobilità ed economia espressiva).[1]

L’orizzonte ricercato di una scrittura demotica francese, che pure Queneau vedrà scomparire nell’irrigidimento progressivo anche del francese parlato, si concreta nei suoi romanzi in un linguaggio scattante ed inventivo, pregno di una giocosità verbale che apre potenzialità ludiche magistralmente impiegate; il discreto successo commerciale che ne discende consente una vasta diffusione delle particolari tecniche narrative impiegate. Nel più conosciuto dei suoi romanzi, Zazie dans le métro (1959), l’agilità linguistica si presta a considerazioni che investono il problema del rapporto linguaggio-letteratura. Roland Barthes sottolinea in Zazie il rapporto agonistico tra due funzioni del linguaggio, che si rincorrono vicendevolmente senza dar luogo ad una gerarchia finale di valori:

Conformandosi alla più avvertite definizioni della logica, Zazie sa distinguere il linguaggio-oggetto e il metalinguaggio. Il linguaggio-oggetto è il linguaggio che si fonda nell’azione stessa, che agisce le cose, è il primo linguaggio transitivo, quello di cui si può parlare ma che in sé trasforma più che non parli. […] Da questo linguaggio-oggetto Zazie emerge, di tanto in tanto, per fissare con la sua clausola assassina il metalinguaggio dei grandi. Questo metalinguaggio è quello con cui si parla, non le cose, ma a proposito delle cose (o a proposito del primo linguaggio). […] Questo metalinguaggio intesse intorno alla lettera del discorso un senso complementare, etico, o lamentoso, o sentimentale, o magistrale, ecc.; in una parola, è un canto: vi si può riconoscere l’essere stesso della Letteratura.[2]

La «clausola zazistica» del linguaggio consiste in una forma di «rifiuto del linguaggio cantato» votata alla costituzione di una «scienza del linguaggio transitivo»[3]; una rivolta che esplode ripetutamente lungo il testo il suo potenziale parodistico nei confronti dei luoghi della letteratura, ripercorrendo l’analogo movimento con cui Roussel disgregava il potere suggestivo delle sue figure seppellendole sotto la minuzia impietosa della loro descrizione.

La frase sgonfiata è composta a sua volta di due linguaggi: il senso letterale (visitare la tomba di Napoleone) e il senso mitico (il tono nobile); Zazie opera bruscamente la dissociazione delle due parole, denuncia nella linea mitica l’evidenza di una connotazione.[4]

Ma poiché «Zazie possiede la Letteratura […] proprio come la Letteratura possiede il reale da essa cantato»[5], la derisione e la consacrazione della letteratura si rincorrono l’un l’altra circolarmente; nell’irriverenza di Zazie Queneau trova felicemente un punto d’equilibrio sul sottile crinale che separa i due versanti della decostruzione e della riconferma del ruolo della letteratura; «estranea al metalinguaggio, ha la funzione di rappresentarcene contemporaneamente il pericolo e la fatalità»[6].

Ciò significa che per Queneau il processo del linguaggio è sempre ambiguo, mai chiuso, e ch’egli stesso non è giudice ma parte in causa: non c’è una buona coscienza di Queneau: il problema non è fare la lezione alla Letteratura, ma convivere con essa in stato d’insicurezza.[7]

Nel campo intermedio del linguaggio Queneau trova un luogo di dialettica ideale tra scienza (il linguaggio-oggetto, legato alla referenzialità del segno linguistico) e letteratura (il metalinguaggio letterario), confronto che non sbocca ad una gerarchia definitiva di valori, ma rimane aperto ad una risoluzione circolare, sempre provvisoria. Lo dimostra il possibile rovesciamento di rapporti insito in questa distinzione: l’inventiva linguistica di Zazie corrisponde allo scarto, la distruzione della norma letteraria, che è metalinguistica; il linguaggio-oggetto è dalla parte del parlato, innesca una fantasia di possibilità che, opponendosi alle rigide codificazioni della lingua e della letteratura, si pone come eminentemente anti-classica. La norma e lo scarto, la scienza e la letteratura, il classicismo e la decostruzione dei valori acquisiti, sono tutte polarità che in Queneau sono suscettibili di risolversi l’una nell’altra. Del resto, anche la predilezione per il linguaggio parlato non esclude la sopravvivenza del francese letterario, «che egli peraltro non vuole affatto abolire, bensì conservare come una lingua a sé, in tutta la sua purezza, come il latino»[8].

Indice
Classicismo ed anticlassicismo della rima
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[1] id., S 1412.

[2] Roland Barthes, Zazie e la letteratura (1959), trad. it. di Lidia Lonzi, in appendice a R. Queneau, Zazie nel metró, Torino, Einaudi, 1994, pp. 152-153.

[3] ibid.

[4] id., pp. 153-154.

[5] ibid.

[6] ibid.

[7] ibid.

[8] I. Calvino, La filosofia di Raymond Queneau, op. cit., S 1413.