Prima di Lullo già una fertile corrente del misticismo ebraico proponeva una visione del mondo che accreditava alla creazione divina una natura combinatoria: tra le correnti cabalistiche medievali questa concezione dell’universo appare più spiccata nella cosiddetta Cabbala teosofica, che opera tramite operazioni combinatorie sulla Torah (i libri del Pentateuco) giustificate dalla combinatorietà del processo di creazione già evidenziata nello Sefer Yetsirah, o Libro della Creazione (trattatello scritto in data incerta tra II e VI secolo), in cui vengono definite le trentadue vie di saggezza (dieci Sefirot o ipostasi della divinità, stati intermedi tra Dio e l’uomo, più le ventidue lettere dell’alfabeto ebraico) come gli elementi primi usati da Iahvè :
Le ventidue lettere fondamentali le incise, le plasmò, le soppesò, e le permutò, e formò con esse tutto il creato e tutto ciò che c’è da formare per il futuro (II, 2).
Per analogia al processo della creazione, la cabbala si rapporta al testo sacro non in maniera esegetica, come nella tradizione occidentale, ma utilizzando una serie di procedure che mirano ad individuare al di sotto della lettera del testo sacro accenni alla decade delle Sefirot, in quanto canali di comunicazione dell’anima con Dio. La testualità della Torah è così manipolata in base a tre tecniche fondamentali:
1) Il notariqon, ovvero l’acrostico “lineare”, che ricerca combinazioni significative in base alla posizione delle lettere nei vocaboli, procedimento agevolato dall’assenza di vocali dell’alfabeto ebraico:
Leggendo la Torah si trova che le iniziali delle parole che compongono la domanda di Mosè (Deuteronomio 30, 12) «chi andrà per noi nei cieli?» danno MYLH, «circoncisione», mentre le finali danno YHVH: la risposta è dunque «il circonciso raggiungerà Dio».[1]
2) La gematrya, la già citata tecnica di numerizzazione delle parole del testo sacro.
3) La temurah, l’arte della permutazione delle lettere, ovvero l’anagramma.
Con la Cabbala dei Nomi di Abraham Abulafia (XIII secolo) il carattere vincolante che ancora assume il testo sacro per queste operazioni esplode definitivamente in un un processo “estatico” di permutazione indiscriminata delle lettere della Torah, considerate esse stesse significative al di là delle loro capacità di unirsi in parole, e dei caratteri referenziali di quest’ultime:
Se Dio ha creato il mondo attraverso l’emissione di voci linguistiche o di lettere alfabetiche, questi elementi semiotici non sono rappresentazioni di qualcosa che vi preesistono, ma sono forme su cui si modellano gli elementi di cui il mondo è costituito.[2]
La combinatoria cabalistica, agendo sul linguaggio, manipola le sostanze del mondo, in virtù della identificazione originaria di questi due ambiti operata dalla sua teosofia: da qui il suo carattere macrocombinatorio, che si sostanzia però di operazioni non dissimili da quelle incontrate nei territori della poesis artificiosa.
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[1] Cit. da Umberto Eco, La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea, op. cit., p. 33.
[2] id. ., p. 37.