Sul corpo semantico della combinatoria gravano forze così eterogenee da vincerne la coesione interna e disgregarne infine la supposta unità concettuale: non cercheremo pertanto di ricomporne i termini dentro una teoria generale, ma di evidenziare il suo utilizzo in ambiti diversi di ricerca e sperimentazione, ripercorrendo gli irregolari contorni che saldano il concetto ai territori più eterogenei della teoria e della pratica letteraria, della filosofia e delle scienze pure e applicate. Non a caso è al suo strumentario operativo e concettuale che Calvino ricorre per la traduzione in letteratura del suo postulato sulla necessità di «un ménage à trois: filosofia letteratura scienza»[1].
Tuttavia la gestione appropriata delle questioni combinatorie nei piani letterari superiori, dove si integrano perfettamente con problematiche specifiche di teoria letteraria, necessita a nostro parere di un adeguato apprendistato tecnico che conduca progressivamente alla comprensione delle implicazioni e delle associazioni che andremo successivamente a proporre: il corso di “solfeggio combinatorio” proposto in questo capitolo non solo non pretende di risolvere in una sequenza devitalizzata di procedure tecniche il campo d’azione della combinatoria, ma vuole anzi sottrarlo a questa concezione limitativa, a cui attualmente soggiace nella letteratura critica, mostrando come esso sia propedeutico a ben altre funzioni letterarie: il loro espletamento si deve principalmente (ma non esclusivamente) a quella linea di forza della narrativa novecentesca che chiameremo letteratura combinatoria (estendendo l’angusto ambito di sperimentazione formale con il quale il termine è usato a tutt’oggi), che conduce da Raymond Roussel a Italo Calvino attraverso molteplici ponti mobili ingegnosamente fabbricati da Raymond Queneau e dal suo discepolo prediletto Georges Perec. Nella nostra interpretazione la letteratura combinatoria non coinciderà, come spesso si ritiene, con l’attività ludico-matematica dell’Ou.Li.Po., a cui pure Queneau, Perec e Calvino ponevano mano, ma all’opera complessiva di questi autori, in cui quella fucina di divagazioni tecniche si risolve in contenuti letterari decisamente più rilevanti.
Traghettare un oggetto concettuale dal puro formalismo matematico all’evidenza delle sue molteplici funzioni letterarie comporta i corrispondenti problemi di traduzione dall’esattezza un po’ monocorde del linguaggio scientifico alla densa sensibilità semantica che la letteratura in parte trasmette osmoticamente alle sue interpretazioni critiche; eppure un tentativo in questa direzione ci pare inevitabile, per l’uso generico, indiscriminato e fondamentalmente impaurito delle nozioni di «combinatoria» e di «procedimento combinatorio» riscontrabili attualmente nella critica.
Cos’è dunque la combinatoria? Claude Berge, matematico e oulipiano di prima generazione, evidenzia la circospezione con cui nello stesso ambito matematico si utilizza questo termine[2], proponendo una definizione di mediazione tra l’esattezza presupposta (in questo caso a torto) dal luogo natale del termine e la sfumata flessibilità generalmente attribuita (altrettanto a torto nella fattispecie) al suo luogo d’elezione, il campo letterario[3]. Berge fa riferimento ai concetti concatenati di configurazione e di restrizione:
Si cerca una configurazione tutte le volte che si dispone di un numero finito di oggetti, e che si vuole disporli rispettando certe restrizioni prestabilite; i quadrati latini, le geometrie finite sono configurazioni, ma lo sono anche la disposizione di pacchi di dimensione diversa in un cassetto troppo piccolo, o la disposizione di parole o frasi date a priori (a condizione che le restrizioni fissate siano sufficientemente «astute» perché il problema sia reale).[4]
Berge prova a matematizzare il concetto («applicazione di un insieme di oggetti in un insieme astratto finito dotato di una struttura nota»[5]), ma desiste subito per l’eccessiva eterogeneità delle forme letterarie di restrizione; ma soprattutto i connotati di “astuzia” sono attribuibili ai singoli procedimenti solo contestualmente ad ogni singola operazione, quindi non è possibile riportare l’intero panorama dei procedimenti combinatori all’interno di un paradigma unitario. La combinatoria letteraria registra e amplifica l’elasticità manifestata dal concetto già nel suo territorio d’origine, in cui è comunque rintracciabile un nucleo centrale di significato:
… la Combinatoria studia le configurazioni. Vuole dimostrare l’esistenza di configurazioni di un tipo voluto. E, se questa esistenza risulta indubitabile, si dedica a enumerarle (eguaglianze o ineguaglianze d’enumerazione), o a classificarle (listing), o a estrarne una «ottimale» (problema di ottimizzazione).[6]
Anni dopo, Berge sarà più incline a riferirsi alla Teoria dei Gruppi per gli stessi fenomeni:
Uno dei risultati più brillanti della matematica moderna è la Teoria dei gruppi che si è costantemente sviluppata a partire da Evariste Galois. Un insieme ha una struttura di gruppo se lo si considera con una operazione sui suoi elementi soddisfacente a certe regole. Per esempio: i numeri interi, i movimenti del piano e dello spazio, le traslazioni, le rotazioni, le simmetrie, e soprattutto le permutazioni.[7]
Il concetto di permutazione è il più delle volte fatto coincidere con l’operazione intuitiva di alterazione dell’ordine di alcuni elementi. Ma la disciplina matematica dell’analisi combinatoria definisce più tecnicamente il concetto, unitamente alle altre due nozioni che completano l’arsenale delle operazioni combinatorie. Il caso più generale è quello delle disposizioni semplici: dato un insieme E comprendente un numero n di elementi, poniamo cinque, E = {a, b, c, d, e}, tutti i sottoinsiemi ordinati che possiamo creare con essi (senza ripetizioni dello stesso elemento), sono loro disposizioni semplici: {abc}, {acb}, {cae}, {dab} sono disposizioni semplici di classe 3 (abbiamo preso gli elementi a tre a tre), differenziate non solo in base agli elementi scelti (sui cinque disponibili), ma anche in base al loro ordine di apparizione. Nel caso particolare in cui la classe è uguale al numero di elementi disponibili (la classe 5 nel nostro esempio), si parlerà di permutazioni semplici: {cbaed} e tutte le altre possibili alterazioni dell’ordine dei cinque elementi. Per converso, sono combinazioni semplici tutti i sottoinsiemi che tengono conto solo della scelta degli elementi, a prescindere dall’ordine in cui appaiono: {abc} e {acb} sono due disposizioni diverse, perché gli elementi appaiono in ordine diverso, ma un’identica combinazione. L’attributo «semplice» indica in tutti e tre i casi la non ammissibilità delle ripetizioni: l’elemento può essere preso una volta sola[8].
Questi tre tipi di sottoinsiemi si differenziano quindi per la pertinentizzazione di due fattori fondamentali: l’ordinamento e la selezione. Se la Disposizione è sensibile ad entrambi, la Permutazione riconosce solo il primo, la Combinazione solo il secondo. Poiché nella stragrande maggioranza dei casi l’ordine posizionale degli elementi è rilevante nelle nostre regole letterarie, delle tre operazioni combinatorie incontreremo quasi sempre la Disposizione o la Permutazione, quasi mai la Combinazione, che si vendica imponendo il suo nome all’insieme delle tre pratiche.
Il già citato distico di Harsdörffer è un elementare saggio di applicazione letteraria della combinatoria, che Berge chiama la prima volta «poesia fattoriale», poi «libera variazione sul gruppo simmetrico di ordine 10». Ma la sua sostanza combinatoria non muta:
Le 10 parole in corsivo possono essere permutate in tutti i modi possibili da chi reciti il distico, senza che il ritmo sia mutato (perché sono tutte monosillabiche); se ne possono quindi trarre 3.628.000 poesie, diverse e grammaticalmente corrette […]. Con n parole da permutare, il numero delle possibilità sarebbe «n fattoriale», cioè il numero: n ! = 1 ´ 2 ´ … ´ n .[9]
Le possibili applicazioni letterarie della combinatoria così come la definisce Berge sono certo molteplici e decisamente più complesse e significative di quanto mostri questo primo esempio, come illustreremo man mano che ci inoltreremo nei singoli procedimenti. Tuttavia egli sembra voler ritagliare nel campo d’intersezione delle due culture una striscia di significato molto ristretta, quella che le lega secondo una corrispondenza univoca, in funzione di un’identica accezione del termine combinatoria, preso dalla matematica e ritrovato tale e quale nella letteratura. Le «nuove interferenze» tra matematica e letteratura esposte da Berge si limiterebbero ad una plastica traslazione di concetti dal primo al secondo campo (come è peraltro giusto dal punto di vista di un matematico di professione, direttore di ricerca in Scienze Matematiche al CNRF), senza alcuna metabolizzazione problematica nell’ambito umanistico di arrivo: in effetti, l’organismo dell’OuLiPo non manifesta alcuna crisi di rigetto al trapianto della combinatoria matematica, ma questo va forse ascritto alla natura esclusivamente «structurEliste»[10] della sua proposta di creazione letteraria potenziale. Certo, vi è una forte spinta di definizione teorica anche nell’OuLiPo, il vento che solleva ha evidentemente una direzione d’incentivazione artistica, così come essa stessa è sollevata dall’incontro nei cieli umanistici dell’anarchia surrealista con le forze contrarie da essa originate (che producono locali rovesci nella ‘Patafisica di Jarry e in Odile di Queneau). Ma la sostanza della combinatoria non viene attaccata dall’OuLiPo: l’impatto che il corpo matematico della combinatoria provoca precipitando sul suolo umanistico ha per gli oulipiani l’effetto di un massaggio cardiaco, valutato positivamente in ragione della sua violenza, proporzionale all’integrità e solidità dell’oggetto.
Le ragioni e implicazioni della combinatoria sono invece a nostro parere in grado di svincolarsi dalla rigida applicazione della definizione matematica, e di “combinarsi” in vario modo con problematiche filosofiche e letterarie fino alla completa e definitiva integrazione nell’orizzonte umanistico, laddove non giunga addirittura a proporsi come sistema di riferimento di quelle dinamiche e della loro integrazione: così è negli sviluppi dell’ars combinatoria lulliana fino a Leibniz, così anche nella sconcertante pratica letteraria di Raymond Roussel, e nell’opera matura di Calvino.
La letteratura combinatoria risulta così qualcosa di diverso, più complessa e meno definita della combinatoria matematica applicata alla letteratura, e più in generale di ogni forma letteraria basata essenzialmente su tecniche di manipolazione degli elementi del linguaggio. Quest’ultimo campo non è certo limitato all’esperienza oulipiana, ma costituisce una presenza costante nella storia della letteratura, seppur in forma mai così definita, nell’arcipelago di pratiche letterarie “anomale” che operano nel segno di restrizioni formali parossistiche ed artificiose, sotto le spinte del divertimento e della pura passione enigmistica[11]. Tali presenze, oggetto di un particolare sforzo analitico da parte degli oulipiani, che le definiscono, molto appropriatamente, «plagi per anticipazione», elaborano strutture poetiche eccessive e trasgressioni retoriche che costituiscono un collettore inesauribile di sperimentazione letteraria: chiameremo questo filone col nome di microcombinatoria, poiché basato sulla manipolazione delle unità costitutive del linguaggio; esso è caratterizzato da un’estrema ed esclusiva produttività, con cui si identifica interamente[12] non meno che con una recisa affermazione di Berge: «i numeri governano il mondo, affermava Platone; perché non dovrebbero governare le epopee, i romanzi, le poesie?»[13].
Una linea parallela e indipendente di applicazione umanistica della combinatoria si sviluppa invece in direzione filosofica: si fa strada, da Raimondo Lullo in poi, una concezione della combinatoria come strumento di comprensione del mondo, in grado di restituire la struttura dell’esistente e quella del pensiero nell’articolazione combinatoria dei loro elementi primi: da qui la connessione storicamente ininterrotta con molteplici pratiche, dall’origine delle formalizzazioni logiche ai tentativi alchemici, dalla ricerca d’una lingua universale all’enciclopedismo e alla mnemotecnica. Chiameremo macrocombinatoria questa sequenza di tentativi di approccio alla globalità attraverso un’epistemologia derivata dalle operazioni combinatorie.
La natura della combinatoria risulta quindi scissa nel campo umanistico in due distinte direzioni, sulle quali focalizzeremo successivamente. Ma questo carattere plurale della combinatoria ci pare un elemento da sottolineare, tanto sembra inscritto nel suo stesso patrimonio genetico: la combinatoria non è effettivamente altro che l’organizzazione d’una pluralità di elementi distinti in una macrostruttura, o struttura di gruppo. La sua definizione non farebbe altro quindi che replicare la sua funzione.
Lo stesso carattere plurale è registrato persino nel contenuto denotativo del termine; al pari della codificazione matematica, la codificazione linguistica non riesce a comporre le sue divergenti dinamiche: la lingua italiana non registra alcunché sotto il sostantivo combinatoria, ma definisce l’aggettivo «combinatorio: Che è fondato sulla combinazione di più elementi»[14]. A questo valore semantico neutro del concetto la forma verbale combinare tende a sovrapporre l’intenzionalità antropomorfica dell’atto di «unire secondo un certo criterio, o armonicamente», mentre il sostantivo combinazione, relativo all’effetto dell’atto, lascia invece uno spazio semico alla casualità, autorizzando il significato di «circostanza fortuita», che finisce per negare a priori l’atto significativo del combinare (a meno di parassitarie intrusioni trascendentali). Se il contenuto di attività proprio di ogni forma verbale viene conservato e persino esaltato dalla competenza presupposta dal codice nel soggetto del combinare, il valore passivo del sostantivo è amplificato verso una deriva che dal piano grammaticale scivola via su quello del senso. Persino gli elementari contenuti denotativi si manifestano così già intensamente correlati, fornendo interpretazioni estese e contrastanti del concetto, che anticipano qui uno dei problemi fondamentali della combinatoria: la dialettica tra casualità e necessità nella manipolazione di un sistema di elementi.
Altre correlazioni di piani sono veicolate dall’esistenza di ulteriori interpretanti del termine: ad esempio, la combinazione risulta essere «in chimica, unione di due o più elementi che si fondono tra loro per dar luogo a una diversa sostanza dove i componenti non sono più separabili»; questa accezione prevede una irreversibilità dell’operazione combinatoria che non ha riscontri altrove, ma soprattutto fa suo il postulato gestaltiano dell’impossibilità di considerare una combinazione di elementi come somma delle proprietà singole degli stessi; il risultato dell’operazione è un soggetto nuovo le cui proprietà sono definite dalle interazioni sistematiche dei suoi elementi primi; il problema sarà tradotto nell’analisi letteraria della narrativa combinatoria come riflessione sulle proprietà macrostrutturali di opere composite[15].
Tra gli altri “cromosomi semantici” rintracciabili nel verbo combinare vi è quello che lo riporta all’orizzonte di significato del fare in senso lato, della produzione concreta di risultati («oggi non sono riuscito a combinare niente»), che nell’accezione sinonimica del concludere va a saldarsi con la prospettiva, tutt’altro che scontata, della identificazione della pulsione poietica con quella della delimitazione esatta (di ascendenza scientifica): la cattura di significati in uno spazio chiuso. E tale è già per ipotesi la prospettiva combinatoria, che parte dalla disponibilità esatta di elementi chiari e distinti.
Questa famiglia di termini è comunque marcata da un’impronta etimologica che ne delimita già a priori il campo delle interpretazioni: combinare: comp. di com- (= cum), insieme + bini, a due a due. Questo proposito originario di limitazione della combinatoria all’utilizzo bidimensionale non troverà riscontro nell’uso successivo (anche nel più rigoroso ambito matematico), ma ha la sua ratio nella nozione fondamentale su cui si modellano molti procedimenti combinatori: dati due insiemi A e B, si definisce prodotto cartesiano dei due insiemi l’insieme costituito da tutte le coppie ordinate (a; b) dei loro elementi. Ad esempio:
A = {1; 5; 7}, B = {3; 4}
A x B = { (1; 3); (1; 4); (5; 3); (5; 4); (7; 3); (7; 4) }
Tale operazione è rappresentabile su un piano cartesiano (da cui il nome) tramite uno schema reticolare, sui cui assi siano disposti gli elementi ordinati dei due insiemi. Gli elementi del nuovo insieme A % B sono così individuati ognuno da due fattori; è questa multidimensionalità degli elementi, risultante da una catena di combinazioni, che alimenta l’uso letterario della combinatoria. Nel numero delle operazioni dette «combinatorie» non rientrano così solo quelle che agiscono sugli elementi di un insieme, ma anche quelle che mettono in relazione più insiemi composti di elementi diversi: ciò che si combina in questo caso non sono gli elementi, ma gli insiemi stessi. La tavola pitagorica delle “tabelline” combina l’insieme dei primi dieci numeri naturali con se stesso, restituendo il prodotto aritmetico di ogni coppia ordinata di elementi.
Sono questi ultimi gli strumenti più ampiamente utilizzati nell’applicazione letteraria di operazioni combinatorie: la possibilità di tali schemi bidimensionali e reticolari di organizzare rigorosamente la compresenza di più ordini di elementi eterogenei li rende appetibili sia alla tradizione microcombinatoria (che manipola elementi di linguaggio), sia agli autori che nel novecento sono mossi dall’esigenza di disporre i propri materiali narrativi in una struttura unitaria che gestisca, conservandola, la loro molteplicità.
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[1] Filosofia e letteratura (1967), S 193.
[2] «I fabbricanti di dizionari ed enciclopedie si mostrano estremamente codardi quando si tratta di darne una definizione; però la loro grigia imprecisione ha una scusante: non pochi matematici classici, pur “sentendo” che alcuni problemi sono di natura combinatoria, esitano a studiare sistematicamente e indipendentemente i metodi per risolverli» (Claude Berge, op. cit., p. 50).
[3] Quest’inversione di ruoli tra le due culture è ben sintetizzata dalla frase con cui Raymond Queneau individua la peculiarità di Raymond Roussel nel suo unire «al delirio del matematico la ragione del poeta» (cit. da Italo Calvino, La filosofia di Raymond Queneau (1981), S 1415). Roland Barthes, più seriosamente, accorda un maggiore grado di scientificità alla letteratura, perché cosciente del valore autoreferenziale del linguaggio, mentre la scienza cercherebbe di fondare inutilmente un valore referenziale del suo linguaggio.
[4] ibid.
[5] ibid.
[6] id., p. 51.
[7] Claude Berge, Matematica e letteratura. Nuove interferenze, in Brunella Eruli, a cura di, op. cit., p. 177. Ma, per una trattazione più tecnica, vedi anche dello stesso Berge Principes de Combinatoire, Paris, Dunod, 1968.
[8] Il calcolo combinatorio utilizza questi strumenti per definire le probabilità di un evento all’interno di tutte le possibilità fornite dagli elementi di un insieme dato. Per calcolare ad esempio la probabilità che al gioco del Lotto esca una determinata cinquina su una ruota, basta computare le combinazioni semplici di classe 5 dell’insieme dei numeri disponibili E = {1, 2, … , 90}. Per vedere in quanti modi diversi cinque persone possono sedersi attorno ad un tavolo basta calcolare il numero di permutazioni consentite a cinque elementi, con un semplice fattoriale: P5 = 5 ! = 1 · 2 · 3 · 4 · 5 = 120.
[9] Claude Berge, Per un’analisi potenziale della letteratura combinatoria, op. cit., p. 52.
[10] Cfr. la distinzione operata da François Le Lionnais tra structurAliste e structurEliste: «Prego il lettore di non confondere questo vocabolo, immaginato appositamente per questo Manifesto, con strutturalista, termine che molti fra noi considerano con circospezione» (François Le Lionnais, Il secondo manifesto, in Ruggero Campagnoli – Yves Hersant, a cura di, op. cit., p. 22). La presa di distanza dallo strutturalismo vuole sottolineare la carica produttiva e solidamente ludica del lavoro oulipiano, in opposizione ad ogni seriosa pratica di dissezione analitica.
[11] Vedi Giovanni Pozzi, Poesia per gioco. Prontuario di figure artificiose, Bologna, Il Mulino, 1984.
[12] «La poesia è un’arte semplice e tutta esecuzione» (François Le Lionnais, Il secondo manifesto, op. cit., p. 22).
[13] Claude Berge, Matematica e letteratura. Nuove interferenze, op. cit., p. 177.
[14] Aldo Gabrielli, Grande dizionario illustrato della lingua italiana, Milano, Mondadori, 1989.
[15] Cfr., ad esempio, Maria Corti, Testo o macrotesto? I racconti di Marcovaldo di Italo Calvino, «Strumenti critici», IX, 1975, p. 182.