Un testo ha generalmente uno sviluppo lineare, prescrive cioè la decodifica dei suoi significati attraverso la successione sequenziale dei suoi elementi. La presenza costante di una seconda dimensione ha ragioni non testuali ma meramente tipografiche nella stragrande maggioranza dei casi: si va a capo quando finisce lo spazio sul supporto materiale, o alla fine di un periodo per rendere più ordinata la pagina e più agevole la lettura. La poesia adopera più specificamente la soprasegmentazione dei versi per ragioni fonoprosodiche o stilistiche o in effetto di restrizioni strutturali già codificate nei generi letterari. Questa bidimensionalità sostanzialmente neutra rispetto alla testualità viene attivata quando al libero svolgimento del senso vengono poste restrizioni che la utilizzano per generare un senso secondo: l’acrostico è la forma tipica di questa restrizione, che però, pur agendo su una struttura bidimensionale, pone ancora una costrizione singola, unidimensionale, al testo, investendone solo lo svolgimento “verticale”[1]. Le permutazioni degli elementi di un verso impongono invece restrizioni unidimensionali “orizzontali”. Esistono strutture combinatorie derivate da sistemi di restrizioni bidimensionali, che organizzano cioè su un campo bidimensionale la compresenza di più restrizioni, concernenti entrambi gli assi.
Il quadrato latino è una classica struttura matematica bidimensionale, già utilizzata dagli oulipiani in ambito letterario: in un quadrato di n % n caselle vengono disposte n lettere diverse in modo che ognuna di esse figuri una sola volta in ogni riga e in ogni colonna[2].
A | G | F | E | J | I | H | B | C | D |
H | B | A | G | F | J | I | C | D | E |
I | H | C | B | A | G | J | D | E | F |
J | I | H | D | C | B | A | E | F | G |
B | J | I | H | E | D | C | F | G | A |
D | C | J | I | H | F | E | G | A | B |
F | E | D | J | I | H | G | A | B | C |
C | D | E | F | G | A | B | H | I | J |
E | F | G | A | B | C | D | I | J | H |
G | A | B | C | D | E | F | J | H | I |
Si tratta insomma sempre di permutazioni, ma queste sono localizzate ed intersecate su uno spazio bidimensionale che ha funzione di matrice; le parti notevoli di questa struttura sono quelle per ognuna delle quali sia prevista una restrizione, cioè ciascuna riga e ciascuna colonna[3]. Ricordiamo che per regola intendiamo l’insieme delle singole restrizioni che queste strutture prevedono. Se una regola sacrifica la libertà compositiva a favore di un sistema di restrizioni che consenta un solo, obbligato risultato, una soluzione, parleremo di regola automatica (vedi più avanti il metodo S+7, un classico oulipiano).
In questo caso più generale di quadrato latino, essendo le restrizioni identiche sia per le righe che per le colonne, gli assi possono essere indifferentemente scambiati. Quest’ultima operazione è impossibile nelle semplici configurazioni permutative del tipo del distico di Harsdörffer, perché non prevedono regole che implichino la misura soprasegmentale dei versi: gli elementi da permutare potrebbero tranquillamente stare in un solo verso, cioè essere trascritti linearmente; la regola combinatoria è qui indifferente al fatto che si vada a capo oppure no, prevede uno spazio monodimensionale, così come in altre derivate da sottogruppi del gruppo delle permutazioni.
Un discorso a parte merita invece la sestina lirica[4] (inventata da Arnaut Daniel e utilizzata, tra gli altri, da Dante, Petrarca, Camoens, Ungaretti), canzone lirica di sei strofe esastiche, in cui le parole-rima della prima strofa sono riprese e permutate nelle altre strofe secondo un ordine ben preciso, mediante una regolare alternanza d’inversione e progressione (retrogradatio cruciata): si riscrive ogni volta la sequenza prendendo in ordine successivo l’ultima cifra, poi la prima, poi la penultima, poi la seconda, ecc. Lo schema delle parole-rima è quindi il seguente:
n° verso | |||||||
1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | ||
| | | | | | ||
strofa 1 | 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | |
2 | 6 | 1 | 5 | 2 | 4 | 3 | |
3 | 3 | 6 | 4 | 1 | 2 | 5 | |
4 | 5 | 3 | 2 | 6 | 1 | 4 | |
5 | 4 | 5 | 1 | 3 | 6 | 2 | |
6 | 2 | 4 | 6 | 5 | 3 | 1 |
A ben vedere, anche lo schema della sestina è un quadrato latino (di ordine 6), perché le sequenze orizzontali (ordine posizionale rispetto ai versi delle parole-rima nella strofa) risultano tutte configurazioni diverse dei sei elementi, ma anche le sequenze verticali (ordine posizionale rispetto alle strofe delle parole-rima nei versi) hanno la stessa caratteristica. La differenza fondamentale tra lo schema astratto del carré latin e quello della sestina è che il primo definisce direttamente restrizioni bidimensionali, mentre il secondo restituisce l’identico risultato in forma implicita: fornisce, data una sequenza iniziale, delle regole di produzione che vengono riapplicate per ogni sequenza sottoapposta, fino alla riproduzione della prima (esclusa)[5].
Certamente non è per caso che lo schema della sestina risulti alla fine un quadrato latino[6]: Arnaut Daniel ricerca delle regole di derivazione che producano proprio quel risultato, tenuto presente fin dall’inizio. Le restrizioni a cui si deve attenere sono le seguenti:
1) Il numero delle strofe (delle sequenze orizzontali) deve essere uguale a quello dei versi di ciascuna strofa (degli elementi di ogni sequenza).
2) Le sequenze delle parole-rima in ciascuna strofa (configurazioni) devono essere tutte diverse.
3) Si deve creare un corrispettivo verticale di 2), facendo cioè in modo che per ogni numero posizionale di verso non corrisponda mai più d’una volta la stessa parola-rima.
Sono le stesse tre restrizioni che compongono la regola di formazione del quadrato latino. La 1) è relativa alla costruzione della struttura vuota, il campo di battaglia su cui agiscono le restrizioni 2) e 3). Ma se nel quadrato latino tout court queste ultime sono perfettamente intercambiabili, nella sestina risulta una differenza che reputiamo fondamentale: la 2) è prioritaria, è la base della produzione di sequenze, per il semplice fatto di essere applicata lungo la dimensione “normale” della successione dei versi; su di essa s’innesta la 3), che, utilizzando una dimensione verticale estranea alle convenzioni strutturali del materiale in uso, aumenta la complessità della regola, fissandone però la sua caratteristica necessità, determinando la sua peculiare forma di costrizione che ne identifica il carattere e la funzionalità poetica.
Chiameremo la 2) restrizione produttiva e la 3) restrizione formante, poiché questi sono i caratteri che le differenziano. La restrizione produttiva può generare tranquillamente da sola sequenze di parole-rima (al contrario di quella formante):
strofa 1 | 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | |
2 | 1 | 3 | 2 | 4 | 5 | 6 | |
3 | 1 | 3 | 4 | 2 | 5 | 6 | |
4 | 2 | 1 | 3 | 4 | 5 | 6 | |
… | … | … | … | … | … | … |
Ma questa restrizione appare evidentemente troppo debole, produce sequenze slegate e non necessarie, le mancano insomma i connotati di “astuzia” che Berge ritiene essenziali alla combinatoria letteraria. La restrizione formante interviene in questo contesto per fissare le sequenze nella seconda dimensione in modo non arbitrario, formando altresì la necessità caratteristica della regola nell’equivalenza delle due restrizioni: il rapporto tra le due è simile a quello che lega un cancello con la serratura che lo rende funzionale, o i binari ferroviari con le traversine che ne fissano la rigidità trasversale.
La sestina deriva dallo schema astratto del quadrato latino per associazione: dato lo sviluppo bidimensionale dello schema, è possibile associare ad ognuno dei due assi una serie ordinata di elementi di un insieme; la forma letteraria della sestina associa ai due assi due diverse misure letterarie, le strofe e i versi contenuti in ciascuna strofa, i cui elementi sono distinti solo per numero posizionale, e fornisce un terzo insieme di elementi letterari, le parole-rima, sul quale agiscono le restrizioni caratteristiche della regola astratta assunta dalla forma sestina, quella della composizione del quadrato latino, che ne determina la variazione al variare degli elementi dei due assi. La sestina ha così una forma combinatoria composta da due insiemi associativi ed un insieme restrittivo.
La differenza tra le restrizioni produttiva e formante non è presente nella forma astratta della regola, ma deriva in effetti dall’associazione ad insiemi di elementi che intrattengono fra loro un particolare rapporto: quello dell’inclusione. La sestina dispone di tre insiemi che hanno rapporti gerarchici tra loro: i versi sono un sottoinsieme delle strofe, come le parole-rima sono un sottoinsieme dei versi. La funzione che abbiamo definito «produttiva» è sempre associata all’insieme-contenitore più esterno, in questo caso l’asse delle strofe, le cui sequenze sono poste sul piano orizzontale (ponendo così l’insieme della loro successione sull’asse verticale). Allo stesso modo trovano posto gli altri due insiemi su uno schema che possiamo considerare canonico [7]:
Gli schemi combinatori pluridimensionali sono utilizzati in narrativa per organizzare una compresenza di fattori, in modo da svolgerne interamente le potenzialità narrative, senza privilegiare alcuna arbitraria selezione delle possibilità. Alla classica sensibilità dell’autore, che sceglie alcune possibili configurazioni di tali fattori secondo criteri di selezione empirici, sottomessi alla logica interna della sua fabula e alle tecniche usuali della comunicazione narrativa, lo scrittore combinatorio sostituisce una regola altrettanto arbitraria nella scelta, ma non nella funzione: essa ha sempre il compito di gestire la combinazione narrativa totale dei fattori che prende in considerazione. Ciò avviene associando ad uno schema astratto di natura matematica dei concetti di rilevanza semantica o letteraria, di cui vengono resi pertinenti solo un numero determinato di elementi, oppure scegliendo concetti dal numero di elementi già codificato. Ad esempio, volendo falsificare la teoria d’Ippocrate dei quattro temperamenti fondamentali, si potrebbe definire uno schema combinatorio che associ a quattro personaggi di volta in volta temperamenti diversi, organizzando in quattro racconti i rapporti fra tali personaggi “cangianti”. Se usassimo anche stavolta lo schema del quadrato latino avremmo quindi:
Temperamenti | |||||
Sanguigno | Flemmatico | Bilioso | Melanconico | ||
Personaggi | A | 1 | 2 | 3 | 4 |
B | 4 | 3 | 1 | 2 | |
C | 3 | 4 | 2 | 1 | |
D | 2 | 1 | 4 | 3 |
I numeri all’interno dello schema indicano i quattro racconti in cui le combinazioni avrebbero luogo. Poiché tra i tre insiemi non intercorrono relazioni di inclusione, essi potrebbero occupare qualsiasi posto nello schema; si potrebbe obiettare che i personaggi sono contenuti nei racconti, ma tale relazione non è un’inclusione di ordine logico, almeno quanto i temperamenti non sono sottoinsiemi dei personaggi. Per avere funzioni narrative tali schemi prevedono sempre che almeno uno degli insiemi rappresenti il luogo narrativo in cui avvengono le combinazioni degli altri due, luogo-contenitore che è sempre identificato con una misura della scrittura, in questo caso (il più ricorrente) un racconto. Proprio per la mancanza di rapporti d’inclusione logica, tale insieme può coincidere con quello restrittivo oggetto della regola matematica di composizione.
Il lavoro letterario combinatorio consiste quindi in gran parte nella ricerca di possibili associazioni tra concetti letterari e determinati schemi matematici. Ciò implica caratteristiche ben precise dei concetti letterari associabili: devono essere suddivisibili in elementi “discreti”, le cui differenze non permettano cioè nessuna sfumatura di passaggio dall’uno all’altro, il che restringe di molto il campo degli oggetti utilizzabili, oppure prescrive una “potatura” semantica degli elementi, ai quali viene tolto ogni spessore umanistico eccedente quello centrale, archetipico del termine; viene prescritta inoltre una distanza semantica minima fra i singoli elementi, necessaria all’evidenza combinatoria dell’operazione.
Un utilizzo piuttosto complesso di questi schemi combinatori viene proposto dallo stesso Berge, che suggerisce di utilizzare un bi-quadrato latino, forma che Eulero pensava non potesse esistere, e di cui esistono solo due differenti versioni, scoperte nel 1960 da Bose, Parker e Shrikhande. Si tratta di un quadrato latino in cui la regola venga applicata ugualmente su due insiemi restrittivi, in modo però che ogni coppia di elementi di questi due insiemi possa apparire solo una volta:
Personaggi | |||||||||||
a | b | c | d | e | f | g | h | i | j | ||
Racconto n. 1 | A0 | G7 | F8 | E9 | J1 | I3 | H5 | B2 | C4 | D6 | |
2 | H6 | B1 | A7 | G8 | F9 | J2 | I4 | C3 | D5 | E0 | |
3 | I5 | H0 | C2 | B7 | A8 | G9 | J3 | D4 | E6 | F1 | |
4 | J4 | I6 | H1 | D3 | C7 | B8 | A9 | E5 | F0 | G2 | |
5 | B9 | J5 | I0 | H2 | E4 | D7 | C8 | F6 | G1 | A3 | |
6 | D8 | C9 | J6 | I1 | H3 | F5 | E7 | G0 | A2 | B4 | |
7 | F7 | E8 | D9 | J0 | I2 | H4 | G6 | A1 | B3 | C5 | |
8 | C1 | D2 | E3 | F4 | G5 | A6 | B0 | H7 | I8 | J9 | |
9 | E2 | F3 | G4 | A5 | B6 | C0 | D1 | I9 | J7 | H8 | |
10 | G3 | A4 | B5 | C6 | D0 | E1 | F2 | J8 | H9 | I7 | |
Ed ecco la legge di associazione che Berge ipotizza per questo raro schema bidimensionale:
Volendo scrivere 10 racconti (rappresentati dalle 10 righe del quadrato) in cui figurino 10 personaggi (rappresentati dalle 10 colonne del quadrato), si designa l’attributo fondamentale di ogni personaggio con la lettera della casella corrispondente, e la sua azione è ugualmente designata dalla cifra della casella corrispondente. Questi 10 racconti contengono dunque tutte le combinazioni possibili nel modo più economico possibile.[8]
Berge pose nel 1967 questo procedimento all’attenzione di Georges Perec, che lo sviluppò secondo associazioni diverse, portandolo attraverso successivi perfezionamenti allo schema compositivo che sottostà a La Vie mode d’emploi: lo schema riproduce lo spaccato di uno stabile parigino, con l’associazione sull’asse verticale dei piani del palazzo, su quello orizzontale dei vani di ogni piano; alle lettere corrispondono personaggi diversi, ai numeri azioni diverse. L’iper-romanzo contiene così 100 capitoli (in realtà sono solo 99, per motivi che spiegheremo successivamente), ognuno dei quali corrisponde ad una casella dello schema. Inoltre, Perec combina questa regola con quella di un altro celebre problema di Eulero: data una scacchiera di 10×10 elementi, coprire tutte le caselle senza toccare due volte la stessa, spostandosi dall’una all’altra con la mossa scacchistica del cavallo. La successione dei capitoli è dettata ne La Vie mode d’emploi dalla soluzione di questo problema adottata nello schema compositivo bi-quadratico[9].
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[1] L’acrostico costituisce effettivamente la proiezione bidimensionale del notarico, artificio che instaura un senso secondo utilizzando progressivamente le lettere lungo il percorso lineare ed orizzontale del messaggio linguistico, ad esempio organizzando messaggi formati dalla prima lettera di ogni parola, o contando un determinato numero di lettere o di parole lungo lo svolgimento del testo.
[2] Poiché basterebbe semplicemente ripetere la prima sequenza spostandola di un elemento verso destra ad ogni nuova riga, per evitare questa banale soluzione bisogna aggiungere una ulteriore restrizione: le diagonali non possono essere composte esclusivamente dalla stessa lettera.
[3] Non è così scontata la preminenza delle righe e delle colonne in uno schema reticolare: si possono porre restrizioni anche solo a quadrati interni allo schema, o alle diagonali, o perfino la restrizione può essere applicata ad uno schema figurativo interno al reticolo, come nei “versi intessuti” (versus intexti): in una composizione di versi isometrici (composti cioè da un ugual numero di lettere, oltre che di sillabe), un senso secondo percorre il testo, seguendo le linee (evidenziate tipograficamente) di un disegno formato da determinati caratteri sullo sfondo del testo integrale. Sulla fortuna di questa tecnica (che raggiunge l’eccellenza con Rabano Mauro nell’età carolina) cfr. Giovanni Pozzi, op. cit., p. 66.
[4] Se ne interessa anche Queneau, senza metterla però in relazione con il quadrato latino: «Particolarmente potenziale mi pare la sestina» (L’opificio di letteratura potenziale (1964), in Segni, cifre e lettere e altri saggi (Batôns, chiffres et lettres, Paris, Gallimard, 1965), trad. it. di G. Bogliolo, Torino, Einaudi, 1981, p. 61).
[5] Il meccanismo della sestina è assimilabile a un vero e proprio sistema formale di quelli correntemente usati in ambito logico; nelle sue convenzioni, la sequenza di parole-rima data a priori, nella prima strofa, è un assioma; le regole di produzione della sequenza successiva sono regole di inferenza; le sequenze prodotte sono teoremi; l’intero schema della sestina, che sovrappone le sequenze che occorrono per ritornare all’assioma iniziale (la settima strofa avrebbe la stessa sequenza della prima) potrebbe essere definito derivazione teorematica dell’assioma.
[6] Queneau prende in esame le sestine del conte Ferdinand de Gramont (1815-97), domandandosi le ragioni della scelta di questa progressione metrica: «C’erano dunque 12 tipi di sestine possibili. Perché il conte di Gramont ha adottato questo? Forse anche qui c’è una soluzione ottimale. Il conte di Gramont aveva una particolare predilezione per la matematica?» (L’opificio di letteratura potenziale, op. cit., p. 63).
[7] Si può leggere: «Quando la misura dell’insieme restrittivo è contenuta in quella dell’insieme associativo formante, a sua volta contenuta in quella dell’insieme associativo produttivo, i tre insiemi sono organizzati secondo questo schema combinatorio».
[8] Claude Berge, Per un’analisi potenziale della letteratura combinatoria, op. cit., p. 59.
[9] Queneau fin dal 1938 si occupa di questa regola, in relazione ad uno studio sulla temporalità dei giochi e sulla cinematica discontinua che li caratterizza (Cfr. Sulla cinematica dei giochi (1944), in Segni, cifre e lettere e altri saggi, op. cit., pp. 332-34).