Da Licofrone a Raymond Roussel, passando per i Grand Rhétoriquers, la letteratura sperimentale intende uscire dalla semiclandestinità, affermare la sua legittimità, proclamare le sue ambizioni, darsi dei metodi, adattarsi insomma alla nostra civiltà scientifica. La sua vocazione è di partire in avanscoperta per tastare il terreno, tracciarvi nuove piste, accertarsi se una certa strada finisce in un vicolo cieco, se un’altra è in realtà soltanto vicinale, se un’altra ancora sbocca invece in una via regia che condurrà alle Terre promesse e agli Eldorado del linguaggio. I «Centomila miliardi di poesie» ci propongono uno di questi tentativi, inscrivibile in un capitolo più vasto che si potrebbe definire «letteratura combinatoria»…[1]
Nel 1961 François Le Lionnais conia la formula «letteratura combinatoria» per disporre di un alveo letterario in cui collocare i Cent Mille Milliards de Poèmes di Raymond Queneau. Il contenuto della neonata nozione è intuibile solo per astrazione dagli esempi riportati: Le Lionnais si riferisce all’insieme delle pratiche letterarie in cui l’opera non fissa una volta per tutte la sequenzialità dei brani di testo che la compongono, ma ne prescrive anzi la ricombinazione secondo procedimenti formalizzati. L’opera combinatoria non viene così letta, ma semplicemente giocata: nella scatola della «letteratura combinatoria» il fruitore trova delle tessere di partenza, che può smontare e rimontare a piacere seguendo le “regole del gioco” annesse. Questo gioco del fare letterario delega così al lettore una parte considerevole della funzione autoriale; ciò che questa letteratura restituisce non è un prodotto letterario, ma un metodo di produzione, un oggetto letterario a metà strada tra l’opera e la struttura. E’ questo slittamento parziale del potere dell’autore a caratterizzare tutti gli esempi riportati da Le Lionnais, tra cui il distico «proteico» di Georg-Philipp Harsdörffer (XVII sec.), che consiglia di permutare a volontà i suoi elementi, da cui possono essere tratti 3.628.800 distici diversi:
Ehr, Kunst, Geld, Guth, Lob, Weib, und Kind
Man hat, sucht, fehlt, hofft und verschwind.[2]
Le Lionnais fa notare che «il prurito combinatorio esercita le sue devastazioni al di là dei confini del linguaggio», accennando a ricerche analoghe nell’ambito musicale, da John Cage alla musica algoritmica di Pierre Barbaud, da Mozart[3] a Stockhausen («Pezzo per piano n° 11»). In pittura si limita a segnalare «”Jazz”, il mobile luminoso di Frank Malina, che consente 211 – 1 (= 2047) combinazioni»[4].
Claude Berge prosegue il discorso di Le Lionnais, ancorando più saldamente questo insieme sconnesso di ricerche al campo delle formalizzazioni matematiche. Ecco così le «poesie fibonacciane»:
Si chiama così un testo che sia stato scomposto in elementi (frasi, versi, parole), e che si reciti utilizzando solamente elementi che nel testo originario non erano giustapposti. Questa forma di poesia si chiama Fibonacciana perché con n elementi il numero delle poesie che si possono produrre altro non è che il «numero di Fibonacci»:
Eccone un esempio, la cui origine è facilmente riconoscibile:
S’i’ fosse foco, arderei ‘l vento;
s’i’ fosse acqua, annegherei Dio;
s’i’ fosse papa, imbrigherei morte;
s’i’ fosse vita, fuggirei altrui.[5]
Si noti bene, il testo per Berge risulta combinatorio perché «recitabile» in una certa maniera. Ancora, la teoria matematica dei grafi può descrivere alcune proposte di “apertura dei percorsi narrativi”, come ad esempio Un conte à votre façon (1967), dello stesso Queneau, che pone ad ogni snodo narrativo una scelta binaria per il lettore, che si costruisce il proprio percorso in una mappa di possibilità prefissate dall’autore.
Lo “stato di famiglia” di queste pratiche è quindi ben definito, e sicuramente interessante e fecondo di possibili applicazioni e di corrispondenti implicazioni teoriche. Ma su queste basi è legittimo parlare di «letteratura combinatoria», o non si tratta piuttosto di una forma di «lettura combinatoria», seppure indotta dall’autore? Del resto, chi è che “combina” in queste operazioni? L’autore provvede ai materiali e alle regole di combinazione, ma è al lettore che viene demandata l’operazione del “mettere insieme secondo certe regole”[6]. La forma di letteratura indagata da Le Lionnais e Berge fallisce così l’incontro con il significato letterale dell’espressione che viene assunta per descriverla: la letteratura combinatoria, in quest’accezione, non combina niente, poiché l’operazione di combinazione non è da essa realizzata, ma approntata per la realizzazione in un altrove spaziale e temporale, situabile all’esterno della composizione.
Del resto, lo stesso Berge spinge per traghettare la formula dal contenuto centrale della attivazione combinatoria del lettore a quello della molteplicità dei modi d’applicazione letteraria della combinatoria matematica. Ma gli esempi da lui successivamente riportati si discostano anche da questa concezione:
Un’altra forma di letteratura, che può prestarsi a schemi ricchi di proprietà combinatorie, è ciò che si può convenire di chiamare racconto telescopico. Dopo il celebre romanzo di Potocki, Un manuscrit trouvé à Saragosse, soprattutto dopo i romanzi telescopici di Eugène Sue, non sono mancati autori che facessero intervenire personaggi che raccontino avventure nelle quali intervengano altri protagonisti chiacchieroni che raccontino altre avventure, producendo così tutta una serie di racconti incastrati gli uni negli altri. Nei suoi poemi, Raymond Roussel arrivava a aprire parentesi dentro parentesi fino a sei volte di seguito.[7]
Dov’è finita qui la molteplicità della composizione offerta al lavoro combinatorio del lettore? Berge prende in considerazione il classico stratagemma dell’incastonamento dei livelli narrativi solo perché «ricco di proprietà combinatorie». Ad ogni evidenza, il tentativo di Berge di definire (indirettamente, cioè per esempi) la «letteratura combinatoria», passa per un’assoluta transitività delle peculiarità dei fenomeni che prende in considerazione: Un conte à votre façon può essere descritto con gli strumenti matematici dei grafi, ma anche il cosiddetto racconto telescopico può essere descritto in quei termini, allora anche quest’ultimo è «combinatorio».
Abbiamo già due differenti accezioni di «letteratura combinatoria», entrambe le quali, più che definirne il contenuto, finiscono per delineare soltanto l’instabilità del rapporto instaurato fra i due termini: la prima, imperniata sul soggetto, assume abusivamente il predicato, piegandolo intollerabilmente a descrivere un’operazione che il fenomeno in oggetto non compie[8]; la seconda, incentrata sul predicato, appunta la sua attenzione non sul soggetto nominale (la letteratura), ma sugli schemi matematici in essa rintracciabili, unico principio d’identificazione e di unificazione delle pratiche prese in esame: la letteratura combinatoria è definita in questa accezione unicamente dal suo essere matematica.
Lungi dall’evidenziare i rapporti teorici che consentano di combinare il soggetto «letteratura» con il predicato «combinatoria», i due orizzonti di ricerca di Le Lionnais e di Berge polarizzano i due termini in modo che si respingano vicendevolmente, lasciando sostanzialmente incolto lo spazio teorico della loro integrazione.
Il nostro lavoro tenterà semplicemente di riempire questo spazio, segnalato ma tuttora incognito, della «letteratura combinatoria» in senso proprio: vi troverà posto un insieme eterogeneo di pratiche letterarie dal quale desumere una concezione poetica sostanzialmente omogenea, che conservi i valori e le proprietà rispettivamente dell’essere «letteratura» e dell’essere «combinatoria», ma che consenta altresì la messa in luce dei peculiari valori teorici rintracciabili nel loro spazio d’integrazione. Il centro di gravità teorico della letteratura combinatoria non troverà luogo in una definizione unitaria, ma in un sistema complesso di relazioni reciproche tra motivi, tecniche ed ossessioni che concorrono in differente misura a costruire un esteso e riconoscibile spazio letterario frequentabile da differenti autori.
A questa mappa “astratta” del territorio della letteratura combinatoria sovrapporremo quella storicamente determinata di una precisa linea di forza della letteratura novecentesca, al fine di mostrare la coincidenza in tutti i punti dei due disegni: in senso ristretto, chiameremo letteratura combinatoria il percorso consequenziale che unisce nel nostro secolo le esperienze di Raymond Roussel, Raymond Queneau, Georges Perec ed Italo Calvino, legandole in una fitta rete intertestuale che ripercorreremo, evidenziando la dipendenza dei suoi nodi da un ordito di natura combinatoria. Con una prima approssimazione, si può individuare una doppia accezione della combinatorietà di questo filone letterario:
1) Il ricorso a procedimenti di manipolazione combinatoria degli elementi posti sotto la giurisdizione dei codici linguistici e letterari; a restrizioni formali arbitrarie, cioè estranee alle tecniche usuali della comunicazione narrativa; a strutture di organizzazione testuale importate dalle scienze esatte.
2) La propensione ad accogliere e combinare nell’opera una molteplicità di linee discorsive riconoscibili: una combinatoria di stili, di livelli narrativi sovrapposti e comunicanti, di riscritture o citazioni, di saperi eterogenei convergenti, di ipotesi contrastanti o complementari, o semplicemente di spunti narrativi isolati congiunti in una macrostruttura. Pluristilismo, metanarrazione, apocrifismo, enciclopedismo, relativismo gnoseologico, macrostrutturazione, sono fenomeni che convergono a definire lo spazio procedurale della letteratura combinatoria, in cui la molteplicità costitutiva dell’opera non è sottoposta ad un processo di fusione in una lega unitaria, ma salvaguardata e gestita da procedure di esatta allocazione dei materiali. E’ una concezione letteraria eminentemente relazionale che guida questi autori, e che organizza le loro opere secondo un modello reticolare che mette in crisi la linearità narrativa, spingendola verso una concezione ipertestuale, molteplice e decentrata della ricerca del senso e dei fondamenti della letteratura.
L’adeguamento a questo vincolante paradigma epistemologico ha implicato nel nostro lavoro critico un’attenzione privilegiata al momento analitico rispetto a quello sintetico; al di là di ogni centrale definibilità di questa concezione, la letteratura combinatoria si dà in definitiva come una sommatoria di direzioni procedurali tra loro irrelate, una «rete di linee che si allacciano» in modo diverso nell’opera di ciascun autore, determinando una sovrapposta e fittissima rete intertestuale di rimandi tra gli autori presi in esame. Per la tessitura di quest’ultima una decisiva importanza ha assunto l’organismo di ricerca sperimentale dell’OuLiPo, fondato nel 1960 da Le Lionnais e Queneau, che vede in Roussel un precursore, e a cui aderiranno più tardi Perec e Calvino: l’incessante produzione di schemi e procedimenti ludico-matematici in questo ambito stimolerà profondamente la loro scrittura più specificamente letteraria.
Poiché i contatti tra Queneau, Perec e Calvino, frutto di una collaborazione diretta, sono stati già parzialmente delineati dalla critica, seppure in maniera episodica, si è scelto qui di spostare un poco indietro la messa a fuoco della nostra interpretazione, assumendo come centrale il contributo rousseliano alla letteratura combinatoria, ancora in larga misura territorio incognito: opzione critica che riflette nel piano d’organizzazione generale un valore procedurale da noi costantemente seguito, la priorità accordata alla possibilità di rintracciare spunti interpretativi inediti rispetto alla esposizione sistematica della sterminata quantità di procedimenti, opere, nuclei tematici e ipotesi interpretative che gravano sugli ambiti da noi indagati.
L’attività di Calvino, che dalla metà degli anni Sessanta è fortemente polarizzata su una concezione della letteratura tout court come processo combinatorio, è stata sondata minuziosamente dalla critica negli ultimi anni; poiché la sua indagine sistematica forzerebbe eccessivamente la misura richiesta al nostro lavoro, si assumerà Calvino come termine fisso di dialogo lungo tutto il nostro percorso, utilizzandone l’opera come specchio in cui si riflettono costantemente motivi e tecniche narrative che incontreremo negli altri autori: l’importanza di Calvino è in gran parte legata all’assunzione e alla ricombinazione di questa molteplicità di spunti in disegni narrativi sempre diversi, di cui accenneremo i tratti essenziali.
Il valore di centralità dell’indagine su Roussel nella nostra esposizione assume anche un significato puramente geometrico: la trattazione della letteratura combinatoria è qui infatti preceduta da un ampio lavoro di ricerca propedeutica. La prima parte del nostro studio propone un censimento asistematico degli strumenti e delle linee teoriche fondamentali atte a sorreggere l’edificio della letteratura combinatoria, ripercorse sinteticamente negli ambiti di origine e nel loro sviluppo storico.
Scombinazione della combinatoria
[1] François Le Lionnais*, A proposito della letteratura sperimentale*, in Ruggero Campagnoli – Yves Hersant, a cura di, La letteratura potenziale (Creazioni Ricreazioni Ri-creazioni), Bologna, Clueb, 1985, p. 238 (ed. orig. La Littérature potentielle (Création Re-créations Ré-créations), Paris, Gallimard, 1973).
[2] id., p. 240.
[3] «Il suo “gioco musicale” si presentava come uno schedario accompagnato da una spiegazione che mostrava “come comporre”, con un sistema semplice, “un numero limitato di valzer, rondò e minuetti”; il tutto contenuto in un elegante cofanetto», id., p. 241.
[4] ibid.
[5] Claude Berge, Per un’analisi potenziale della letteratura combinatoria, id., pp. 54-55.
[6] Marco Maiocchi riferisce di un’attività in questa direzione dell’ALAMO (Atelier de Littérature Assistée par la Mathématique et les Ordinateurs, fondato nel 1982 da Paul Braffort e Jacques Roubaud): «programmi di lettura combinatoria in cui il dialogo tra utente e sistema permette al lettore di effettuare scelte da cui dipende la produzione dei testi, senza però potere intervenire sui nessi testuali che li caratterizzano. Sono così disponibili programmi combinatori, come “Litanie di Jean Meschinot”, “Baci di Quirinus Kuhlmann”, “Sonetti di Queneau”, “Dizains di Bénabou” (strofe di dieci versi), “Triolets di Braffort” (ballate di otto versi)» (Marco Maiocchi, Per una navigazione nell’arcipelago dei computer e della letteratura: dall’ALAMO al TEAnO, in Brunella Eruli, a cura di, Attenzione al potenziale, Firenze, Marco Nardi, 1994, p. 183).
[7] Claude Berge, op. cit., p. 58.
[8] Si potrebbe anzi dimostrare che la forma «proteica» o «potenziale» di letteratura di cui parla Le Lionnais pone i suoi fondamenti in antitesi all’operazione della combinazione narrativa: ogni opera letteraria realizza infatti la combinazione delle unità linguistiche che sceglie, secondo i criteri più o meno empirici della comunicazione narrativa; le opere citate da Berge si qualificano invece proprio per il loro rifiuto del valore totalizzante della combinazione, che viene espulsa dal lavoro compositivo: si tratta, nel migliore dei casi, di una letteratura «decombinatoria», che si costituisce in opposizione alla «combinatorietà» della letteratura tout court.
RR I: Italo Calvino, Romanzi e racconti, a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, Milano, Mondadori, «I Meridiani», vol. I, 1991.
RR II: ’’ , vol. II, 1992.
RR III: ’’ , vol. III, 1994.
S: Italo Calvino, Saggi, a cura di Mario Barenghi, Milano, Mondadori, «I Meridiani», 2 voll., 1995.