Si va là presto, certe domeniche d’ottobre. Anche se non te lo chiede più nessuno.
Ci si sdraia a rileggere un libro più o meno vetusto.
Si cerca di capire perché, con quest’altra luce da fine batterie, le parole sembrino tutte differenti.
Ma cerchi di riconoscerle. Le parole cattive che alla fine delle nuove stagioni già sapranno di vecchie speranze.
E sei contento di stare lì.
Poi sti cazzi, uno si piazza al tavolo ad assaggiare le ultime vongole, che incombe la dieta a zuppa d’asino (e già si sa, a queste latitudini sa di vecchia balena salmonata).
Si fa un metro quadro di castello di sabbia, a tasso variabile.
Poi si torna pian pianino per ora di cena, e si passa a salutare tutti, che domattina c’è da metter su un dittatore, dicono. Ma io c’ho già il mal di pancia al contrario.